Il mio periodo in Africa è difficile da sintetizzare in qualche pensiero scritto.
Come la volta precedente, la realtà di Hombolo, mi ha “resettato” per dirla alla Beppe Grillo; e come l’altra volta cercherò di integrare il mio stile di vita “alla maniera di Hombolo” povero e semplice come un po’ in tutta l’Africa, dove il suono dei tamburi con le pelli riscaldate accanto le braci è talmente penetrante che te lo porti dentro come un bagaglio naturale che fa parte di te…e il loro ritmo scandisce la tua vita da occidentale anche quando sei tornato; quest’anno anche con un dono fattomi il giorno della festa dei lavoratori dai dipendenti dell’associazione TAIPO: un bellissimo mantello Masai.
Le giornate a Hombolo, trascorrono dense di esperienze, di visite in luoghi mai visti, di incontri ravvicinati con cento bambini che ti toccano e vogliono essere abbracciati, di “visite” a persone bisognose e sofferenti, di viaggi in altri luoghi con impala, giraffe, elefanti.
A fine giornata ci troviamo in veranda e chiediamo a Maria Carla di raccontarci la sua vita, le sue esperienze vissute in 300 giorni all’anno e non si vorrebbe più andare a dormire con il grappino che ti fa sentire un esploratore di inizio 800.
Ecco ho voluto parlare più di quello che mi ha lasciato dentro l’Africa tentando di darmi una spiegazione del mal d’Africa che forse è il disagio per quello che eravamo e che un po’ rimpiango.
L’intenzione è di tornare (spero anche in un trekking sul Kilimangiaro come ho promesso a qualcuna…), e l’augurio per queste popolazioni, di fare un cambiamento a partire dalla cultura, dall’istruzione che è la base per qualsiasi sviluppo.
Kwa heri Hombolo, Kwa heri Maria Carla, Maria e Rosa.